Come sputtanarono il Festival della Canzone di Velletri
di Roberto Zaccagnini
Iniziato nel 1953 in maniera molto paesana, inserito nei festeggiamenti del Carnevale e collegato a un concorso di poesia dialettale, il Festival della Canzone di Velletri già due anni dopo veniva denominato il Controfestival, ovviamente con riferimento a quello di Sanremo. Infatti cominciarono subito a partecipare autori, artisti, orchestre di rilevanza nazionale, ma in particolare puntarono a Velletri tutti coloro che a Sanremo avevano avuto da ridire sulla gestione dei voti e delle giurie. Nonostante fosse snobbato dalla Rai, anche quello di Velletri divenne il “Festival Nazionale della Canzone Italiana”, e vide sul palco del Teatro Artemisio i più grandi artisti della musica leggera. La contrapposizione con Sanremo, che a Velletri cercavano di non esasperare – ma che di fatto s’era creata – rischiò di esplodere e risolversi a favore di Velletri nel 1958, quando il musicista Ruccione – che già aveva vinto due Sanremo – denunciò gli organizzatori di quel Festival e fece sequestrare le schede di voto. Una settimana più tardi, alla sesta edizione del Festival di Velletri, partecipava con una sua canzone lo stesso Ruccione, che alla serata finale risultò vincitore. Ma si scoprì che nell’urna delle votazioni erano finite circa 300 schede in più rispetto al numero di votanti: schede false fatte stampare da un ignoto, che tanto ignoto non rimase, e che ottennero l’effetto di far annullare le premiazioni. Ma intanto la stampa prorompeva: “Vince Ruccione con 300 schede false”. In questa appassionata panoramica, si ricostruisce la storia del Festival di Velletri dal ’53 al ’61, quando calò definitivamente il sipario sulla manifestazione, ma in particolare si indaga su “quella sporca serata del ’58”, che non solo mandò all’aria anni di sacrifici, ma fece tirare un sospiro di sollievo ai sostenitori di Sanremo. Gli inquirenti e i vociferanti, ma soprattutto i giornalisti, s’accanirono per qualche tempo a caccia del misterioso “signore con trench verde” che aveva chiesto alla tipografia di stampare altre schede. Ma tra gli elementi meno emergenti nella cronaca di quel giorno, s’apre uno spiraglio attraverso il quale nessuno andò a sbirciare, perché è da leggere tra le righe di un paio di articoli, frutto dello sfogo di un musicista: qualche centinaio di schede “in più” era già disponibile dalla mattina, da utilizzare come contentino per rabbonire eventuali contestazioni. Se siano state le stesse utilizzate alla sera per far scoppiare il pandemonio, questo non lo sapremo mai. In definitiva, questo resoconto non risolve il giallo, ma fornisce al lettore tutti gli elementi per farsi una propria idea di come andò … quella sporca serata del ’58.
“S’è davvero sfogato, Zaccagnini, in questo suo ennesimo lavoro. Lodevole è l’idea di aver voluto narrare la storia di un Festival che davvero fece epoca, anche a livello nazionale, e che oggi rischia di cadere nell’oblio assieme all’ultima generazione che la visse. Narrare, perché non si elencano soltanto canzoni e classifiche di quelle nove edizioni del Festival di Velletri, ma si va a sbirciare tra la platea e dietro le quinte, grazie alle cronache dei giornalisti dell’epoca che s’intrufolavano ovunque, a caccia di notizie ghiotte, e ai ricordi degli ultimi testimoni. E poi il “giallo” di quella “sporca serata del ’58”, quando allo spoglio dei voti risultarono 3oo schede in più rispetto ai votanti. E il giallo viene degnamente anticipato già nella grafica di copertina del libretto, ad imitazione dei famosi Gialli Mondadori dell’epoca. Ed ancora più giallo, perché l’autore va a scavare oltre, laddove i cronisti dell’epoca si limitarono a qualche affrettata sentenza, dettata soprattutto da posizioni politiche. Ancora: nella sua prosa ironica, talvolta cinica, l’autore non riesce a celare il proprio godimento per altri episodi che animarono quelle serate, con la serpeggiante compravendita di schede che preparò gli umori che sarebbero culminati con i tafferugli del ’58. Per esempio, quando il Maestro Ermete Liberati piombò sul palco per impedire l’esecuzione di una sua canzone: fu acciuffato dalla Polizia che, non conoscendolo, lo credette un invasato e lo buttò fuori dal teatro. Per ultimo, lo stile battente di questa narrazione, più giornalistico che narrativo, che a tratti ci dà l’impressione, leggendo, di ascoltare una di quelle radiocronache di una volta. Cioè i resoconti di quei bravi cronisti che, in mancanza della televisione, riuscivano con le parole a proiettare il “video” nell’immaginazione degli ascoltatori.” E.G.