Poesie velletrane di Roberto Zaccagnini, interpretate da lui medesimo
Recensione di Leonardo Ciocca per Vivavoce, Rivista d’area dei Castelli Romani – Rubrica “Cibo per la mente” n. 75, ottobre 2008
Roberto Zaccagnini è un personaggio originale, controverso, un delizioso e narciso anticonformista. Non solo: è un libraio e un editore ma, soprattutto, è un poligrafo ormai noto per essere lo studioso e il cantore disincantato della Velletri passata e di quella presente, in virtù della sua notevole produzione saggistica, lirica e vignettistica. La vena ironico-satirica che alimenta i suoi scritti è ben evidente fin dal titolo del DVD, “Vivi, morti e cacamiracoli”, che allude alla straordinaria galleria di personaggi che l’autore ci presenta in questa antologia di sue poesie in dialetto velletrano recitate da lui stesso (lo Zac, diminutivo con cui è noto a Velletri, tra l’altro è anche attore di teatro). In Vivi, morti e cacamiracoli si potranno gustare anche altre venature caratteristiche della sua opera, che sono forse meno appariscenti, ma non per questo meno importanti. La più significativa è una certa malinconia di fondo, dissimulata con il mezzo energico dell’utilizzo costante di finali giocosi e umoristici, per privarla di ogni accento lirico, ma che riemerge con forza, specie negli ultimi pezzi della raccolta. Dei più di 50 componimenti ne ricordiamo solo alcuni, per il loro valore emblematico. Con “A tti e ‘o caretto!” abbiamo uno spaccato estremo e mordace della mentalità contadina; ne “L’indico” un divertente quadro che racconta di una credenza popolare ancora radicata; in ” ‘O ggiro a Camposanto” viene testimoniato il desiderio di curare e ricordare i morti e i sepolcri divenuti ormai anonimi col passare del tempo; in “Finché uno ‘a recconta” e “I priggionieri” abbiamo i ricordi di una sorta di Miles gloriosus velletrano alla Grande Guerra; ne “I giochi dellà pe’ San Gremente” troviamo una bella ricostruzione, quasi un ricchissimo elenco di giochi ormai scomparsi, con un finale in cui la battuta di chiusura risulta densa e amara; con gli ultimi componimenti si gioca con la storia, in particolare in ” ‘A ciave e ‘o ciodo” c’è una brillante ricostruzione popolare della rivalità secolare tra Velletri e Marino. Nel complesso questa raccolta è un vivace impasto di storie inventate, vecchie barzellette più o meno rielaborate, ricordi e considerazioni personali, tutti cotti nell’amalgama densa e saporita del dialetto veliterno (Zac preferirebbe velletrano). Non si tratta, come potrebbe sembrare, di un’opera naif, perché l’autore su questi contenuti “bassi”, popolari, costruisce una trama linguisticamente stratificata, complessa, “colta”. La lingua utilizzata sembra semplicemente parlata, ma in realtà è frutto di ricerca, di studio, di ricostruzione filologica. Con questa raccolta abbiamo una panoramica a volo d’uccello sulla produzione poetica di Roberto Zaccagnini: alla fine ne risulta un atto di amore disincantato verso la civiltà contadina della sua Velletri, con un affettuoso scandaglio dei suoi difetti e dei suoi vizi; ma anche una riflessione amara sulla sua scomparsa, sul suo annientamento senza nessuna contropartita. In qualche modo sembra che l’autore sottolinei gli aspetti antropologici e filologici dei testi proposti, quasi più che quelli poetico-letterari.