FU COSI’ CHE ANDO’

Storie e storielle della storia velletrana

da Ottaviano Augusto al Cane d’Appiotti

di Roberto Zaccagnini

 

   Possiamo distinguere tre livelli di ricostruzione del passato: la Storia, le storie e le storielle.
   La narrazione della Storia è appannaggio dei dotti: su di essa ci sono i blasoni dei papi e degli imperatori, i segni delle guerre, e una infinità di date.
   Le storie corrono tra la gente, che spesso le origina, e comunque sempre le governa. I migliori storici badano anche a queste, per illustrare o spiegare la Storia: tuttavia non ne sono padroni. Non essendo concretamente documentate, esse sono precariamente soggette al tempo che le assottiglia, e agli umori che le gonfiano e le sgonfiano.
   Poi ci sono le storielle, ignorate e spesso disdegnate dagli storici. Esse, al di là delle piacevoli note di costume, tentano di restituire ad alcune storie una piega di verità o, quantomeno, di ragionevolezza. E, in alcuni casi, perfino alla Storia così come ci è stata fatta pervenire.

INDICE

Prefazione / Storia, storie e storielle  //  Quando si dice “Gnate fòra, figli!”  //  Conosco colui che mi uccise il maiale …  //   I prigionieri “di nonno” e le scalette di Viale Marconi  //  Che spettacolo, la processione nel ‘500  //  Quando si dice “vigilia”  //  Quando se la prendevano con San Pistillo  //  La penicillina fu inventata a Velletri  //  Quando Ercole andò in Cacattera  //  Quella Madonna dei Carciofini sott’olio  /  Appendice: Il carciofo del Vescovo Punzolo  //  Quando si dice “Cane d’Appiotti” (Storia e controstoria di un famoso cagnolino)  //  A Santa Maria dell’Orto non si piantavano broccoli  //  Le pagnotte genzanesi e il sarcasmo velletrano  //  Perché la Trattoria era detta del Matematico ?  /Un antichissimo amico: l’ Índico  //  Non proprio giallo, ma giallo … giallo!  //  Quando le suore volevano farla finita con le ciambelle  //  A digiuno, su e giù per … Viale Oberdan  //  Tizio? Lo portava in bocca un cane …  //  Ponte Rosso, Bianco e della Regina (prima parte) – (seconda parte)  //  Velletrani … sette volte (ma non è detto) //  Quando ai francesi si toglievano le … fronde  //  Gli Ottavi, antichi “mucchi de fresca”  //  Niente velletrani a Roma per il Giubileo  // Oggi come ieri, il pelo fa la differenza  //  Quando Garibaldi prometteva rinforzi  //  Quando la tigna riesce a forgiare gli eroi  //  Il chiodo fisso del maestro Carini  //  Quella Madonna che mandò in escandescenza un mietitore  //  Quando sfondarono il tetto a S. Francesco  //  Augusto, e le sue galline bianche  //  Le nostre fontane, e i ferri d’una di esse (prima parte)(seconda parte)  //  Tutti pazzi per Atena (prima puntata: Il ritrovamento)(seconda puntata: Il sequestro)(terza puntata: Ci si mettono pure i napoletani) – (quarta puntata: I buoni … da fumare)(quinta puntata: Di chi erano quelle cedole?)  //  Fra Cassio da Velletri: due personaggi, forse uno  //  Quando si andava … per francesi ammalati  //  Quando a Corte rintoccava la campana (prima parte)(seconda parte)  //  Un protettore per ogni occorrenza  //  Quando il Re rispose per le rime  //  Quando gli animali erano accusati d’ogni infamia  //  Quando veliterni, e quando velletrani  //  Quando sul mare luccica … l’aspro d’argento  //  Antichi prodigi e nuovi fenomeni  //  I frugali pasti di Giuseppe Garibaldi  //  La Vendetta è un piatto … sempre caldo  //  Quando a Velletri si diceva “ciak, si gira!”  //  Perché il Duce fu a Velletri così laconico  //  Sant’Antonio, ‘a Lapa e Giachemella  //  Come (non) nacquero i carciofi alla matticella  //  I personaggi del Caffè Baccini  //  Quando si brindò al “mucco de zampetta”  //  Santarelle sì, ma non sorelle  //  Quando per i pasticci riuscimmo a superare San Remo  // Quando la Madonna … “si difese da sola” // Quell’opera lirica in dialetto velletrano // Quando l’imprecazione costava dieci lire e dieci centesimi // Non fu il Re a donare quel palazzo // Le tirignòle, queste sì che ci appartengono // La movimentata istoria della facciata di San Martino // Quando il cardinale garantì che a Velletri si mangia sciapo // Quando Velletri viveva di traffico // Quando l’ebreo incappò nella “santa e bbona verità” // Storie di lupi, e di … “lupi” // I romani non si agitarono … per non fare il nostro gioco // Quando una sola madre riuscì a fermare un esercito // Ciucciandosi il dito, Camillo conquistò Velletri // La quasi dimenticata Madonna della Piaga // L’uva dei poveri, e quella degli ebrei // Quando si dice “te faccio vedé io …” // Quando da Annaccia ammazzarono l’austriaco // Quel calendario più antico del mondo // L’organetto dentro il canestro // Quel buffo lasciato da Buffalo.

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Comunicato stampa

Venerdì 17 maggio la Biblioteca Comunale “A. Tersenghi” di Velletri e la Società Cooperativa Biblionova presenteranno la nuova edizione del libro Fu così che andò. Storie e storielle della storia velletrana da Ottaviano Augusto al Cane d’Appiotti di Roberto Zaccagnini (edizioni Scorpius). Sarà presente l’autore. L’evento si terrà venerdì 17 maggio 2024 alle 17.00 presso la Sala degli Affreschi della “Casa delle culture e della musica” (Piazza Trento e Trieste).

   Il libro Fu così che andò. Storie e storielle della storia velletrana da Ottaviano Augusto al Cane d’Appiotti, giunto alla terza edizione, è costituito dalla raccolta dei testi pubblicati sul settimanale veliterno l’Artemisio negli anni che vanno dal 2016 al 2018 con l’aggiunta di alcuni articoli apparsi in anni più recenti, nel 2022 e nel 2023.

   Nella prefazione troviamo esplicitato il principale intento di Roberto Zaccagnini in questo volume, l’autore infatti afferma che “[…] la Storia è fatta anche di storie e storielle. Queste, oltre ad essere più godibili, fanno intendere il vero senso della storia”.

   Tutto il libro, di oltre 200 fitte pagine, esplora quindi un materiale densissimo, con un approccio che fondamentalmente è duplice: o si parte dalla storia per arrivare alle storielle, o si parte dalle storielle per arrivare alla storia.

   Le storielle riportate possono nascere da un ricordo personale o da un ricordo tramandato in famiglia, da un modo di dire o da un semplice termine veliterno, da un documento antico che fornisce, a una più attenta lettura, l’occasione per trovare tracce di vita quotidiana e di modi di pensare spesso sorprendentemente perduranti negli abitanti della città, oppure si affrontano molti luoghi comuni relativi alla storia e alle tradizioni di Velletri. L’intento di Roberto Zaccagnini rispetto a questi ultimi è quello di individuarli e di ridurli, grazie alle sue argomentazioni stringenti, a ciò che sono realmente: banali errori, trovate propagandistiche, inopportune autocelebrazioni, fuorvianti interpretazioni, spesso di comodo, della storia.

   Nel libro di Roberto Zaccagnini non si troverà compiacimento per le tradizioni di Velletri, per la sua cultura e per la sua storia, di cui nel libro viene fornita una densissima, appassionata, varia e godibile rassegna di episodi, personaggi e aneddoti, ma un atteggiamento teso a far conoscere dal punto di vista dell’autore l’essenza delle cose, con l’intento anche di smascherare l’ingenuità e, spesso, la tendenziosità di chi ha tramandato fatti mal interpretati con ricostruzioni semplificate, vagamente turistiche, trascurando, sulla base di una visione compiaciuta e aulica della storia della propria città, di ricordarne gli aspetti più critici e quelli relativi alla vita reale della gente veliterna.

   Roberto Zaccagnini, profondo e appassionato conoscitore, oltre che diretto testimone degli ultimi decenni, di tutto quanto Velletri ha rappresentato e rappresenta, specie in ambito culturale, storico e tradizionale, autore ed editore di pubblicazioni sulla storia della città, sulle sue tradizioni e sulla sua lingua, attore, scrittore di raccolte poetiche e di canzoni in dialetto, pungente vignettista, attivo promotore di iniziative per riconoscere e riscoprire la cultura cittadina, preferisce il punto di vista impietoso e umile di chi orgogliosamente accetta e rivendica la storia e il carattere dei suoi abitanti e della città così com’è, senza tacerne difetti e spigolosità, anzi, se necessario, sottolineando anche gli aspetti meno piacevoli senza remore o falsi pudori. 

   Nei testi pubblicati in Fu così che andò non solo smonta con ironia alcuni tentativi artificiosi di rendere la storia della città più accattivante, prestigiosa e importante di quello che già sia, ma fornisce nuovi elementi per la sua conoscenza, anche ricavati dalle memorie dirette e orali dei suoi parenti (specie il padre Italo Zaccagnini, a cui il libro è dedicato) e da ragionamenti più approfonditi sulle fonti, applicando alla loro lettura più non tanto l’erudizione che rischierebbe, nel contesto di questi articoli rivolti a tutti, di risultare saccente, ma soprattutto una logica stringente e documentata che spesso mette in evidenza le loro contraddizioni.

   L’autore sembra suggerire questa riflessione generale: la storia di Velletri e dei suoi abitanti non ha bisogno di essere edulcorata o enfatizzata, ma necessiterebbe soprattutto di essere conosciuta anche come storia soprattutto “dal basso”, degli umili e degli invisibili, e, nella sua complessità, andrebbe compresa, tramandata e accettata. Di queste voci trascurate ma fondamentali Roberto Zaccagnini cerca anche di farsi portavoce: contadini, poeti da bar, prigionieri di guerra, bestemmiatori, devoti superstiziosi, tabaccai, accalappiacani, osti, suorine rancorose, fraticelli orgogliosi, pellegrini religiosi ma teppisti, maestri taccagni, astuti baristi, briganti acclamati come eroi, trombettieri improvvisati, carrettieri, ladri col mal di pancia, bestemmiatori paganti e molti altri rappresentanti della varia umanità facente parte della storia di Velletri.

   Forse è proprio in questo sguardo impietoso e autoironico, nel gusto della battuta arguta e popolare, spesso fulminea e inceneritrice,  nel cogliere l’intelligenza e la profondità della lingua parlata dalla gente, nello sguardo benevolo verso le persone semplici, nella “tigna”, nella visione sempre pragmatica della vita che Roberto Zaccagnini implicitamente individua, nelle pagine di Fu così che andò, alcuni dei tratti maggiormente distintivi e perduranti della “velletranità”, di cui egli stesso rappresenta una delle espressioni più schiette, profonde e consapevolmente controverse.

Leonardo Ciocca